Centottantotto milioni in un mese, più i due di Baraldi

di Salvatore Napolitano

Da lunedì è partito l'aumento di capitale della Lazio. Intanto, la Consob ha trasmesso alla magistratura la documentazione sull'ipotesi di aggiotaggio riguardante la diffusione di notizie circa il possibile ingresso di nuovi azionisti: è l'integrazione del fascicolo già spedito agli inizi del 2004, perché da allora le voci sui possibili nuovi proprietari della Lazio non si sono affatto interrotte. Dunque, fino al 7 giugno sarà possibile negoziare in Borsa i diritti da esercitare per partecipare alla ricapitalizzazione: poco più di 188 milioni di euro da sottoscrivere nel nuovo tentativo di salvare la baracca. E' infatti la terza richiesta di soldi al mercato in poco meno di due anni: e le pretese sono aumentate progressivamente, essendo passate dai 55 milioni del giugno 2002, ai 110 del luglio 2003, ai 188 attuali. Il perché è chiaro e trae origine, come spiega la stessa società nel Prospetto informativo, dall'«attuale crisi finanziaria, economica e patrimoniale in cui versa la Lazio». Non è una situazione passeggera, né di poco conto, perché «determina un forte rischio per la continuità aziendale». In parole semplici, il baratro del fallimento è a un passo. Per evitarlo, occorrerà che la ricapitalizzazone abbia successo.
Ma non è affatto detto che la salvezza sia definitiva, e ben lo hanno finora sperimentato sulla propria pelle i 70mila piccoli azionisti della Lazio che detengono circa l'80% delle azioni: come ripetuto più volte nel Prospetto, anche in caso di integrale sottoscrizione, la società «non può escludere che sia necessario in futuro ricorrere ad ulteriori aumenti di capitale al fine di garantire il riequilibrio economico e finanziario». Per evitare altre iniezioni di soldi freschi, dovranno «realizzarsi le assunzioni poste alla base del piano industriale 2004-2007», approvato dal consiglio di amministrazione il 14 maggio. Del resto, le cifre sono chiare: 103 milioni e 100mila euro di perdite nell'esercizio chiuso al 30 giugno 2002, 121 milioni e 900mila euro in quello al 30 giugno 2003 e 84 milioni e 800mila euro nei nove mesi fino al 31 marzo 2004. Insomma, le perdite medie mensili ammontano, a partire dal 2001-2002, rispettivamente a 8 milioni e 590mila, 10 milioni e 158mila, e 9 milioni e 422mila euro.
I precedenti piani di ristrutturazione non sono serviti a granché, come ammette la stessa dirigenza a pag. 29 del Prospetto. Quello appena varato è inequivocabile. Occorre tagliare drasticamente gli emolumenti, contenere gli altri costi, sfruttare meglio le potenzialità offerte dal Centro sportivo di Formello. Condizione preliminare è il buon esito dell'aumento di capitale, senza il quale ogni discorso sarebbe superfluo. Il piano è ineccepibile: ma quanto effettivamente realizzabile? Si assume la rosa di non più di 24 giocatori e il costo medio dei contratti non superiore a un milione e 150mila euro, contro gli attuali 3 milioni e 300mila euro. Dunque, è inevitabile un abbassamento del livello di competitività della squadra: ma nel piano si legge anche che si «prevede» un incremento dei ricavi nella stagione 2006-2007, «grazie alla partecipazione alla Champions League». Chi è il vero amministratore delegato biancoceleste? L'avvocato Masoni o il mago di Arcella? Quanto allo sfruttamento di Formello, per ora se n'è accorto solo l'Erario, che vi ha iscritto un'ipoteca per garantirsi il pagamento dei crediti vantati, pari al 31 marzo a 103 milioni. Non è finita: alla stessa data, i debiti totali superavano i crediti di 284 milioni e 90mila euro. E il patrimonio netto? Addirittura negativo per 38 milioni e 900mila euro: è, in altre parole, la differenza tra il totale del passivo e quello dell'attivo.
E tra i beni dell'attivo è iscritto, grazie ai benefici dell'ineffabile legge «spalma perdite», che ha consentito di ripartire in dieci anni la perdita derivante dalla svalutazione del patrimonio calciatori invece di imputarla all'esercizio nel quale si era manifestata, un ammontare, al 31 dicembre 2003, di circa 181 milioni di euro: cifra che si trasformerebbe in un ulteriore buco patrimoniale se e quando la Commissione europea annullasse la norma, o a partire dal 2005, quando diventerà operativo l'obbligo, stabilito in sede europea, di redigere i bilanci delle società quotate in Borsa secondo i criteri contabili I.A.S. (International Accounting Standards). Particolare curioso: il decreto legislativo di attuazione non è ancora stato emanato e, per questo, la Lazio ha ottenuto il parere di un consulente, il cui nome è stato prudentemente tenuto celato, che ha sostenuto che «non appare possibile stabilire in maniera univoca se la normativa sull'applicazione degli I.A.S. sarà o meno applicabile anche alla redazione dei bilanci delle società sportive quotate in Borsa». Storia trita: ciò che vale per le normali società di capitali si presume possa non valere per quelle calcistiche.
Tornando al valore del patrimonio netto, è ragionevole ipotizzare che, all'attuale ritmo mensile di perdite, a fine maggio sia negativo per una cifra pari a 57 milioni e 700 mila euro. Una sottoscrizione finale che non superi tale somma manterrebbe la società nella fattispecie prevista dall'articolo 2447 del Codice civile (riduzione del capitale al di sotto del limite legale) e non consentirebbe nemmeno l'iscrizione al prossimo campionato. Tale situazione patrimoniale rende singolare la decisione presa dai vertici biancocelesti di stabilire un sovrapprezzo per ciascuna azione pari a 40 centesimi, rispetto al valore nominale di 60 centesimi. Normalmente, il sovrapprezzo trova la sua giustificazione nell'esistenza di riserve di capitale ed in condizioni di redditività dell'impresa. Nessuna delle due ipotesi è presente: beninteso, nulla di illecito, ma il sovrapprezzo è per giunta superiore di circa il 67% rispetto al valore nominale. Considerazione finale: a differenza delle altre volte, l'aumento di capitale è privo di un consorzio di garanzia, cioè nessuna banca si accollerà le nuove azioni eventualmente non sottoscritte dagli azionisti. Senza rete, dunque? Macché: mal che vada, c'è sempre il lodo Petrucci, che fa ripartire una società non iscritta dalla serie immediatamente inferiore.
A proposito di (mancate) ristrutturazioni, chi si ricorda di Luca Baraldi? Il rapporto tra lui e la Lazio si era chiuso all'improvviso: ma c'è la possibilità che si riapra in tribunale. La causa è il bonus dovuto all'ex amministratore delegato e direttore generale, se egli fosse riuscito a diminuire del 25% l'ammontare degli emolumenti dei giocatori, nella misura del 5% della riduzione. Secondo la Lazio, l'obiettivo non è stato centrato, mentre Baraldi ha ritenuto il contrario, essendoselo autoassegnato: è una somma di un milione e 70mila euro netti. In mancanza di accordo tra le parti, l'8 aprile la società ha proposto il tentativo obbligatorio di conciliazione. La Lazio chiede 2 milioni e 100 mila euro. Quella di Baraldi è una storia sintomatica: per dieci mesi di lavoro ha percepito 6 milioni di euro lordi, senza riuscire a migliorare i conti, nonostante lo strombazzato piano che porta il suo nome.

Salvatore Napolitano

(Fonti: www.ilmanifesto.it)

 

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